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I contenuti di questa pagina sono estratti prevalentemente dal libro di testo: Mario Ferrara e Graziano Ramina - Click & Net - edizione Clitt.

21 - la comunicazione ai tempi dei social

 Abbiamo visto come il bisogno di comunicare, verbalmente fin dalla preistoria e "fisicamente" a segnare l'inizio della storia, sia stato parte integrante dell'evoluzione del genere umano. Oggi la comunicazione (e con essa anche la pubblicità) è diventata sempre più immateriale, sempre meno legata alla carta stampata e invece costantemente rivolta a nuovi media, prima analogici e oggi digitali. Il Novecento è il secolo in cui si sono affermati i mezzi di comunicazione di massa, cioè quei mezzi progettati per mettere in atto forme di comunicazione “aperte, a distanza, con tante persone in un breve lasso di tempo”. La diffusione della radio ha rappresentato, a partire dagli anni Venti, attraverso il messaggio sonoro essa ha portato in tutte le case, senza distinguere tra condizioni sociali o di censo, notizie, intrattenimento, propaganda. Tutta la seconda metà del Novecento ha visto la progressiva affermazione, come nuovo media di massa, della televisione, che ha coniugato il messaggio sonoro alle immagini (il significato di televisione è “visione a distanza”). La sua importanza sociologica è stata innegabile nel plasmare gusti e tendenze, ma anche nel contribuire a creare basi culturali comuni a intere generazioni: basti citare il contributo della televisione italiana del dopoguerra all’insegnamento della lingua italiana con programmi come “Non è mai troppo tardi” condotto dal maestro Manzi.

Il maestro Alberto Manzi, conduttore del programma televisivo "Non è mai troppo tardi". Oggi potremmo definirla la prima forma di "DAD" didattica a distanza in Italia.

La caratteristica di questi due medium e anche forse, oggi, il loro principale limite, sta nel fatto che essi sono “a senso unico”. Il senso unico sta nel flusso delle informazioni ricollegabile a chi decide cosa trasmettere. Non esiste quella che oggi chiamiamo interattività; Tutte le tecniche di comunicazione, negli ultimi quarant’anni, si sono adeguate a questa caratteristica, creando campagne pubblicitarie “a senso unico”: massicce, “invadenti” e ripetitive. Ciò è successo almeno fino a quando non sono cominciati ad apparire nel nostro quotidiano nuovi media, i cosiddetti social, legati a internet e, soprattutto, quello che viene definito web 2.0.

I SOCIAL MEDIA
Il termine web 2.0 si afferma a partire dal 2005 e indica la seconda fase di sviluppo e diffusione di internet. La prima fase, iniziata negli anni Sessanta del Novecento, vede l’evoluzione delle tecnologie, prima legate alle esigenze militari e poi alle necessità di comunicazione tra realtà scientifiche. È solo a partire dagli anni Novanta che internet comincia a diventare il fenomeno di massa che oggi conosciamo. Internet Explorer, il browser della Microsoft, nasce nel 1995. Nel 1997 sono presenti in rete 2,1 milioni di siti con il prefisso www. Nel 2000 il numero di questi siti passa a oltre 21 milioni, si stima che ad oggi (2021) siano oltre i 200 milioni. Una crescita esponenziale ma, essenzialmente, ancora collegata alla comunicazione “a senso unico” dei vecchi media. I siti infatti erano delle grandi vetrine in cui veniva posto in evidenza il proprio “prodotto”.
Il linguaggio HTML (Hyper Text Markup Language) aveva già posto le basi per scardinare questo “ordine”. La comunicazione consentita dall’HTML non è più unidirezionale poiché, proprio attraverso il concetto di hyperlink, cioè di ipertestuale, si caratterizza per la non linearità dell’informazione. In un ipertesto noi possiamo “saltare” (grazie appunto ai link) da un’informazione a un’altra senza seguire una logica imposta, ma costruendo noi stessi nuovi percorsi, in base alle nostre esigenze o ai nostri interessi.

Dal 2004 il termine web 2.0 indica l’incremento di interazione tra sito e utente. Dunque una maggiore partecipazione dei fruitori che, attraverso le nuove tecnologie messe a disposizione, come chat, blog, forum, ecc. Non è un caso se YouTube, il portale di condivisione video, inizia la sua presenza sul web nel 2005, così come, proprio in quegli anni, comincia l’affermazione dei social media. La caratteristica più eclatante è la creazione e lo scambio di contenuti generati da qualsiasi utente. “I social media rappresentano fondamentalmente un cambiamento nel modo in cui la gente apprende, legge e condivide informazioni e contenuti. In essi si verifica una fusione tra sociologia e tecnologia che trasforma il monologo (da uno a molti) in dialogo (da molti a molti), dando luogo una democratizzazione dell'informazione che trasforma gli utenti da fruitori di contenuti ad editori.

L'EVOLUZIONE DELLA PUBBLICITA'
i social network, hanno ormai preso il posto delle piazze come luoghi di incontro e di scambio di idee. Qui, pertanto, si svolge la nuova vita “sociale”, si dibattono e si fanno le scelte e si formano le opinioni. Qui, grazie agli strumenti tipici del web 2.0, gli utenti hanno la possibilità di influenzare le scelte di acquisto di altri utenti più della pubblicità e dei classici canali di marketing. Risulta evidente che, per la pubblicità, questa sia stata - e continui a essere - la nuova strada da percorrere per capire gli umori del pubblico e per comunicare i propri messaggi.
La suddivisione in base ai parametri socio-economici, tipica della “profilazione” (ossia la raccolta e l’elaborazione di dati per svolgere indagini di mercato) tradizionale risulta secondaria. Le “esigenze” del consumatore attuale sono sempre meno individuabili attraverso indicatori tradizionali quali l’età, il sesso e il livello sociale. Oggi bisogna prestare attenzione soprattutto alle tendenze sociali e agli stili di vita; risultano infatti, ai fini degli acquisti, più rilevanti i dati di tipo psicologico (interessi culturali, peculiarità caratteriali) rispetto a quelli socio-demografici. Se questo è il “trend” l’azienda attuale non può più permettersi di “parlare” soltanto. Essa deve “dialogare” costantemente con il consumatore.
Attualmente la qualità è data per scontata, quello che fa la differenza non è più il prodotto in sé, ma il feeling che si crea tra consumatore e produttore. Non si acquista più un oggetto, ma un’esperienza. E si acquista un prodotto non tanto perché “è” quel prodotto, quanto perché si aderisce così allo stile di vita che l’azienda propone o, a livello più profondo, perché si ritiene che una marca abbia la nostra stessa visione delle cose. In sostanza, è cambiata la prospettiva. Non è più l’azienda al centro dell’attenzione, ma il consumatore. Se così è, allora una ditta può utilizzare i media tradizionali solo come “veicolo” per portare contatti verso il proprio sito web o le proprie pagine aperte sui social. Non deve quindi cercare di raggiungere il cliente ad ogni costo, bensì “posizionarsi” nel miglior modo possibile affinché sia l’utente a trovarla. Internet, dunque, diviene un luogo ideale dove dialogare non tanto con una “categoria” di clienti, quanto, precisamente, con “te”, affinché quello che vuoi acquistare non sia più una delle tante copie di quel prodotto, ma sia un prodotto-servizio calzato esattamente sulle tue richieste, sui tuoi “bisogni”.
I beni, quindi, diventano anche dei servizi, e questi ultimi sono il valore aggiunto intorno al prodotto. La marca ha bisogno di conoscere direttamente il cliente e di poter interagire con lui in modo da fornire quella personalizzazione che lo fa sentire non tanto consumatore, quanto piuttosto parte di una sorta di club esclusivo. Per poter far ciò entrano in campo due nuovi concetti, che sono la cura del cliente (customer care) e l’attenzione verso la sua soddisfazione (customer satisfaction). Se il web è la nuova frontiera e la “fidelizzazione” del cliente il nuovo obiettivo, servono nuove forme di marketing per poterli raggiungere.

Di seguito ne descriviamo alcune:

IL MARKETING RELAZIONALE
dà il massimo rilievo alla costruzione e al mantenimento del rapporto con il cliente.

IL MARKETING ESPERIENZIALE
parte dal concetto che di fronte a un mercato sempre più saturo, dove i prodotti si equivalgono, bisogna spostare l’attenzione non tanto sull’oggetto, quanto sull’esperienza che ne deriva nell’utilizzarlo.

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IL MARKETING EMOZIONALE

punta sulla percezione che le persone hanno di un prodotto stimolandone la sfera irrazionale. Mira a creare un’esperienza memorabile nel cliente, in grado di far emergere i suoi desideri inconsci, soddisfacendoli.

IL MARKETING ONE-TO-ONE

punta a ottenere la fedeltà e la fiducia del cliente seguendolo in base alle sue necessità e accontentando le sue richieste.
Il marketing one-to-one tende inoltre, nella logica di costruire database sempre più precisi sui gusti degli utenti, a raccogliere on line una serie di ulteriori informazioni utilizzando la profilazione quando un utente è registrato, oppure conservandone una “traccia” (per esempio attraverso i cookies) per individuarne le preferenze, a seconda dei percorsi scelti per la navigazione all’interno di un sito.

IL PERMISSION MARKETING
che, tradotto, suona più o meno come il marketing che chiede permesso. È una tecnica di comunicazione diretta basata sul preventivo consenso del cliente a ricevere informazioni pubblicitarie. Per esempio inviando una mail in cui si chiede di esprimere l’assenso al ricevimento di comunicazioni, oppure ancora invitando l'utente ad iscriversi ad una newsletter, lasciando il proprio indirizzo e-mail, incentivando il tutto con omaggi, sconti o altri tipi di informazioni. Una volta ottenuto l’assenso si passa a un’attività di comunicazione diretta, volta a convertire e fidelizzare il singolo.

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I contenuti di questa pagina sono estratti prevalentemente dal libro di testo: Mario Ferrara e Graziano Ramina - Tecnologie dei processi di produzione - edizione Clitt.